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La sindrome di Kawasaki

A cura di
Bruno
Andreuzzi

La sindrome di Kawasaki è un'infiammazione vascolare che colpisce principalmente i bambini

Cos’è la sindrome di Kawasaki?

La sindrome di Kawasaki è una rara vasculite, caratterizzata da un'infiammazione dei vasi sanguigni di piccolo e medio diametro presenti in tutte le parti del corpo.

Descritta per la prima volta in Giappone nel 1967 dal pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki, questa condizione colpisce principalmente i bambini piccoli al di sotto dei 5 anni, con circa il 76% dei pazienti che rientra in questa fascia d'età (è però molto meno frequente sotto i 6 mesi di età).
Ad essere maggiormente colpiti sembrano essere i maschi e la malattia risulta essere più frequente in Asia.

Nella primissima fase la malattia di Kawasaki presenta sintomi aspecifici (simili ad un'influenza, come nausea, vomito, tosse e raffreddore, dolori alle articolazioni).
Compaiono poi i sintomi tipici, come:

  • febbre alta e persistente (di solito si mantiene sopra i 38,5° e risponde poco ai farmacii anti-febbrili)
  • congiuntivite, “non essudativa” cioè l'occhio resta pulito; di solito l’ arrossamento risparmia la pare attorno alla cornea.
  • arrossamento delle labbra e della mucosa orale ("bocca a fragola")
  • talora ingrossamento dei linfonodi del collo
  • accelerazione del battito cardiaco
  • talora miocardite e pericardite (infiammazione del muscolo cardiaco o della membrana che lo avvolge.

Nella seconda fase della malattia la febbre tende a persistere e compaiono ulteriori sintomi tra cui:

  • arrossamento della cute delle labbra e della mucosa orale ("bocca a fragola")
  • gonfiore del dorso delle mani e dei piedi che in seguito tendono a desquamarsi (desquamazione lamellare, ovvero a strati, che inizia attorno alle unghie delle dita di mani e  piedi).

La diagnosi precoce è fondamentale per avviare tempestivamente il trattamento e prevenire gravi complicanze, come l'infiammazione delle arterie coronarie.

Come si contrae?

Le cause precise della sindrome di Kawasaki rimangono ancora un mistero. Non è chiaro come si contragga la malattia, ma si ipotizza che sia il risultato di una reazione anomala del sistema immunitario a un'infezione o ad altri fattori esterni.

Alcune ipotesi includono:

  • un'infezione virale o batterica: diversi studi hanno trovato possibili collegamenti con virus e batteri specifici, ma non è stato ancora identificato un agente patogeno definitivo.
  • Fattori ambientali: l'esposizione a tossine o sostanze chimiche potrebbe giocare un ruolo nello sviluppo della malattia.
  • Suscettibilità legata all'età: gli adulti non sono suscettibili alla malattia come lo sono i più piccoli, suggerendo quindi un fattore di rischio legato all'età o allo sviluppo del sistema immunitario.

In ogni caso, la sindrome di Kawasaki non è contagiosa e non si trasmette da persona a persona.

Cosa comporta la malattia di Kawasaki?

La malattia di Kawasaki può avere conseguenze significative, soprattutto se non trattata correttamente. 
Può causare danni a livello sistemico, con manifestazioni come irritabilità, dolori addominali e problemi alle articolazioni. 

Il rischio maggiore è però rappresentato dalle complicanze cardiovascolari, che possono manifestarsi con l'infiammazione delle arterie coronarie e la formazione di aneurismi. Queste complicanze, se non gestite tempestivamente, possono portare a gravi problemi cardiaci.

Quali sono le eventuali complicazioni?

Una delle complicazioni più temute, come già indicato, è l'infiammazione delle arterie coronarie, che può portare alla formazione di aneurismi o addirittura all'occlusione delle coronarie stesse. 

Queste condizioni aumentano significativamente il rischio di eventi cardiovascolari, come l'infarto miocardico acuto o l'insufficienza cardiaca, aritmie anche minacciose.

Sebbene la sindrome di Kawasaki si risolva spontaneamente nella maggior parte dei casi, è molto importante seguire attentamente il bambino durante tutto il corso della malattia e continuare i controlli anche dopo la guarigione, per prevenire e individuare eventuali recidive o complicanze a lungo termine.

Quanto dura la malattia di Kawasaki?

La durata della sindrome di Kawasaki varia da persona a persona ma, in linea generale, la fase acuta dura da 1 a 2 settimane.

Segue la fase subacuta, che può durare fino alla quarta settimana: durante questa fase, persistono irritabilità e malessere generale, anche se la febbre scompare.

Infine, si passa alla fase di convalescenza, che va dalla quinta all'ottava settimana. In questa fase, i sintomi scompaiono gradualmente e il bambino recupera la salute.

Tuttavia in alcuni casi la malattia può prolungarsi per diverse settimane o mesi. Questo può accadere se compaiono complicanze o se il trattamento non viene avviato tempestivamente.

Come diagnosticare la malattia di Kawasaki?

La diagnosi della sindrome di Kawasaki si basa principalmente sull'osservazione dei sintomi caratteristici della malattia, come la durata della febbre, la presenza di congiuntivite bilaterale o la comparsa di eruzioni cutanee caratteristiche. Tuttavia, poiché i sintomi possono variare ed essere spesso caratteristici anche di altre condizioni mediche, la diagnosi può essere complessa.

Non ci sono esami del sangue specifici da fare, ma possono essere richiesti esami di laboratorio per valutare la presenza di segni di infiammazione nel sangue e per escludere altre cause. 

L'ecocardiografia è un altro importante strumento diagnostico utilizzato per valutare eventuali danni alle arterie coronarie e controllare l’evoluzione della malattia nel tempo.

Come si cura la malattia di Kawasaki?

Il trattamento iniziale della sindrome di Kawasaki prevede l'infusione endovenosa di immunoglobuline, che aiuta a ridurre l'infiammazione e a prevenire danni alle arterie coronarie.

Viene anche spesso prescritta l'aspirina come anti-infiammatorio, per ridurre la febbre e prevenire la formazione di coaguli di sangue nelle arterie.

Ai bambini ad alto rischio, soprattutto se refrattari alla terapia con immunoglobuline, possono essere prescritti anche steroidi per ridurre l'infiammazione, proteggere il cuore e ridurre il rischio di complicanze cardiovascolari.

Si sta anche sperimentando la terapia con ciclosporina, un inibitore del sistema immunitario: finora non vi sono ancora certezze sull’utilizzo di tale terapia.