Quante volte ci è capitato di dirci “Non ho più voglia”? Di sentirci fermi, come se qualcosa dentro di noi avesse smesso di darci la giusta energia per perseguire i nostri obiettivi?
Comprendere che cosa sia la motivazione, e perché a volte viene meno, potrebbe essere il primo passo per ritrovare quella spinta che ci dà direzione e parla dei nostri bisogni e desideri.
Ne parliamo con il dottor Antonino Cascione, psicologo, specializzato in psicoterapia a orientamento analitico-transazionale del Santagostino.


Come può essere definita la demotivazione?
Per poter parlare di demotivazione può esserci utile partire da che cosa intendiamo, in psicologia, con il termine motivazione.
La parola motivazione deriva dal latino motus (movimento) e indica quel processo interno che muove il comportamento umano e lo dirige verso un obiettivo.
In psicologia, la motivazione viene descritta come un processo dinamico che attiva, orienta e mantiene il comportamento nel tempo. È una spinta interiore, più o meno consapevole, verso qualcosa che percepiamo come significativo o necessario.
All’interno dell’Analisi Transazionale, uno degli orientamenti teorici e metodologici della psicoterapia, la motivazione viene intesa proprio come una tensione interna tra alcuni bisogni umani universali, chiamati Fami, e la ricerca, consapevole o meno, di soddisfarli. Ma che cosa, dunque, ci muove ad agire?
Secondo Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, alla base del nostro comportamento ci sono tre bisogni fondamentali. Ovvero la fame di:
- stimoli, cioè il bisogno di contatto sensoriale e relazionale presente sin dalla prima infanzia
- riconoscimento, ovvero il bisogno di essere visti, riconosciuti e considerati significativi da chi ci sta intorno. Questo bisogno è alla base della nostra autostima e del senso di valore personale
- struttura, che rappresenta il nostro bisogno di dare strutturazione e significato al tempo attraverso delle attività. Organizzare il nostro tempo non è solo una questione pratica, ma psicologica. Ci serve per sentirci contenuti, orientati e presenti a noi stessi.
Un ponte rotto tra desiderio e azione
Possiamo quindi dire che la motivazione nasce dalla spinta a soddisfare queste fami: ogni scelta, ogni gesto, ogni progetto può essere visto come un tentativo – più o meno efficace – di rispondere a queste necessità interiori.
Parlare di demotivazione, allora, significa parlare di uno stato in cui questa spinta si affievolisce o si interrompe.
Se la motivazione è il ponte che collega il nostro desiderio all’azione, la demotivazione è la rottura di questo ponte. Magari il desiderio è ancora presente, ma non riusciamo più a trasformarlo in movimento.
Che cos’è la demotivazione lavorativa?
La demotivazione, così come l’abbiamo definita, può manifestarsi in svariati ambiti della nostra vita. Come per esempio nello studio, nelle relazioni o nei nostri progetti personali. Un ambito nel quale è sicuramente più frequente incontrarla è il contesto lavorativo.
Parlando di demotivazione a lavoro, non ci riferiamo semplicemente a una giornata storta o a un calo momentaneo di energia. A chiunque può capitare di alzarsi al mattino con poca voglia di affrontare le proprie mansioni.
La demotivazione lavorativa è qualcosa di diverso: una condizione più profonda e persistente nel tempo, in cui la stanchezza fisica ed emotiva si somma alla perdita di senso in ciò che si fa. Potremmo avvertire disinteresse, frustrazione e apatia, come se il nostro impegno fosse diventato più meccanico, con “il pilota automatico” inserito.
In alcuni casi, la demotivazione lavorativa può evolvere in burnout, uno stato riconosciuto anche clinicamente. Oppure portare a una forma più silenziosa di distacco psicologico, come il cosiddetto quiet quitting, ovvero il progressivo disinvestimento emotivo nel lavoro, riducendo al minimo il proprio coinvolgimento pur continuando a svolgere le proprie mansioni.
Spesso, alla base della demotivazione lavorativa, vi è il mancato soddisfacimento di uno o più bisogni fondamentali. Come la mancanza di stimoli adeguati o un riconoscimento non nutrito dall’ambiente professionale. In questi casi, la demotivazione diventa un segnale prezioso che ci invita a prenderci cura di ciò che non sta funzionando.
Perché una persona è demotivata?
Come per qualsiasi aspetto che riguarda la nostra vita psichica ed emotiva, è difficile trovare un’unica causa lineare alla nostra perdita di motivazione. Spesso, infatti, la demotivazione è il risultato di una combinazione di fattori, interni ed esterni.
Alcuni dei fattori più comuni sono:
- essere troppo stimolati, a tal punto da farci sentire stressati e stanchi, o al contrario l’avere troppo pochi stimoli, che rischiano di lasciare spazio alla monotonia e alla noia
- non sentirsi sufficientemente valorizzati e riconosciuti in quello che facciamo. La fame di riconoscimento, come detto precedentemente, è infatti uno dei motori principali del comportamento umano
- incoerenza che potremmo sentire tra ciò che facciamo e chi desideriamo essere o i valori in cui crediamo. Quando ci accorgiamo che la nostra attività, il nostro lavoro non ci rappresenta più, tendiamo a disinvestire
- tendenza a porci obiettivi e aspettative irrealistici, che ci espongono costantemente al rischio di insuccesso. Questo processo, alla lunga, può spingerci a non provarci più per paura di fallire.
Tutti questi fattori non solo contribuiscono alla perdita di motivazione, ma spesso rappresentano dei campanelli d’allarme. Da quanto fin qui detto, risulta evidente che la demotivazione potrebbe essere un segnale importante che la nostra psiche ci invia per invitarci a fermarci e prenderci cura dei nostri bisogni.


Cosa fare quando si perde la motivazione?
Il primo passo, dunque, è proprio fermarsi e ascoltarsi. Non serve sforzarsi di fare di più o insistere, ma al contrario abbiamo bisogno di accogliere e dare valore a quello che stiamo sperimentando. Se la demotivazione è un segnale, è nostro compito ascoltarlo, decodificarlo e comprenderlo, per poi prendercene cura.
Il passo successivo sarà quello di valutare in modo adulto il contesto nel quale ci troviamo, provare a guardarlo con uno sguardo nuovo che ci aiuti a riconoscere le opzioni che abbiamo a disposizione per apportare dei miglioramenti alla situazione. Introdurre anche solo una piccola novità, in linea con noi stessi e i nostri bisogni, potrebbe avvicinarci a un cambiamento. Non servono rivoluzioni, sono sufficienti piccoli atti di cura verso di sé e verso l’ambiente in cui agiamo.
Infine, se la demotivazione tende a isolarci, diviene fondamentale parlarne, che sia con un amico, un collega o un professionista. Mettere in parole, ad alta voce, quello che stiamo sperimentando può darci un senso di sollievo e aprirci a nuove prospettive.
Perché la demotivazione non è solo il segnale che qualcosa non sta più andando come dovrebbe. ma è anche un’occasione per rimettersi in ascolto di sé, riavvicinandoci a ciò che ci nutre, coerentemente con i nostri bisogni e desideri più profondi.
(4 Giugno 2025)