La seduta dallo psicologo, quanto dura? Aldilà del tempo di una singola seduta, che può essere di 45, 50 minuti, importa soprattutto cosa accade durante la seduta.
Alla base del tempo trascorso insieme, tra paziente e psicologo o psicoterapeuta, c’è un patto, un’alleanza terapeutica. Che sarà uno dei fondamenti della riuscita del percorso intrapreso.
Ne parla il dottor Andrea De Poli De Luigi, psicologo e psicoterapeuta di Santagostino Psiche.


Una seduta dallo psicologo, o psicoterapeuta, quanto dura?
Le sedute da uno psicologo o uno psicoterapeuta hanno, in media, una durata predeterminata e prevedono un tempo compreso fra 45 e 50 minuti. Psicoterapeuta e paziente si accordano di dedicare, reciprocamente, quel tempo al lavoro da fare insieme.
La maggior parte degli approcci di psicoterapia prevede che le sedute abbiano infatti un tempo predeterminato al fine di offrire un contenitore stabile alle riflessioni che si possono fare, avendo chiarezza su quando inizia e quando finisce un incontro.
Questa scelta ha diverse funzioni, non solo organizzative: l’idea di avere un tempo che è esteso, ma limitato, consente di osservare come il paziente vive, utilizza e reagisce al tempo della seduta.
In ogni seduta si crea infatti un equilibrio fra i pensieri, le riflessioni che è possibile esplorare insieme allo psicoterapeuta e il materiale che non è possibile condividere. E che ci si trova ad elaborare da soli.
Il modo in cui le persone si approcciano alla seduta, o vivono il tempo che separa due sedute, può aiutare a comprendere alcune aspettative implicite, o alcune paure, che possono essere parte di pattern relazionali disfunzionali.
Ad esempio, una persona potrebbe vivere con ansia l’idea che la seduta possa terminare. Le emozioni legate alla fine (tristezza, rabbia, ansia, urgenza) possono rivelare degli schemi affettivi che il paziente può ripetere fuori dalla stanza di terapia: difficoltà nei distacchi, paure di abbandono, ansia da separazione.
La fine della seduta potrebbe inoltre evocare vissuti di ostilità (“Non sei davvero interessato, o interessata”) che potrebbero riflettere bisogni abnormi, di riconoscimento o di dipendenza.
Una significativa eccezione si ha nella psicoterapia di stampo lacaniano dove l’accordo è differente: lo o la psicoterapeuta, nel momento in cui il paziente condivide del materiale altamente significativo, può interrompere la seduta così da favorire un processo di emersione del materiale (pensieri, emozioni, associazioni) collegato a quel punto specifico così da spingerlo a ripensare autonomamente, o a ritornare su quell’esperienza nella seduta successiva.
La possibile presenza di resistenze
Una persona potrebbe usare il tempo della seduta per condividere aspetti che non si legano al focus di lavoro concordato, magari dilungandosi su dettagli della quotidianità o evitando temi significativi.
Questo approccio potrebbe suggerire la presenza di resistenze al cambiamento che sarebbe utile esplorare, o paure nel condividere le proprie esperienze intime con qualcuno. Queste osservazioni potrebbero essere parte di uno schema relazionale rigido e riflettere sui vissuti del paziente.
L’importanza del rapporto fra paziente e psicologo-psicoterapeuta
È importante che una persona possa trovarsi bene con il proprio psicologo-psicoterapeuta. La qualità della relazione tra paziente e terapeuta è infatti uno dei fattori più importanti (se non il più importante) nel successo di una psicoterapia, indipendentemente dall’approccio teorico utilizzato.
Da un lato, sentirsi a proprio agio con la/il terapeuta crea le condizioni per parlare apertamente anche di aspetti delicati, dolorosi o che possono attivare vergogna.
Un terapeuta che viene percepito come accogliente, non giudicante e affidabile può più facilmente essere d’aiuto. Consentendo di sentirsi compresi nelle proprie dinamiche, riconosciuti nelle proprie intenzioni e nei propri bisogni, ascoltati.
Un compito della psicoterapia è però anche quello di creare dei nuovi modi di vedere noi stessi e il mondo che ci circonda. In questo, la/lo psicologo-psicoterapeuta può essere percepito, in certi momenti, come deludente o frustrante. Condividere i propri vissuti in seduta vuol dire infatti riflettere con qualcuno, e questo attiva molteplici vissuti.
Alcune persone possono avere aspettative negative rispetto a sé stessi o alle altre persone e queste aspettative possono avere un grande potere di condizionamento nella vita affettiva, sociale o lavorativa. Ad esempio, una persona potrebbe aver sviluppato la credenza di valere poco. Questa credenza potrebbe essere invalidante e condizionare molto: la persona potrebbe ad esempio credere che se qualcuno la conoscesse davvero, finirebbe a rifiutarla. Questa persona, in seduta, potrebbe chiedere molti consigli pratici.
Il o la professionista potrebbe invece trovare più utile aiutarlo a mettere in discussione lo schema (“Io non sono capace”), non dando il consiglio ma aiutandolo a riflettere su quello che lo portava a credere di non poter trovare quella soluzione da solo. Fare questo lavoro è tanto più facile tanto più chiari sono gli obiettivi terapeutici.
La ricerca scientifica ha mostrato che una buona alleanza terapeutica (cioè l’accordo su obiettivi, compiti, e sulla relazione stessa) è un ottimo predittore di esito positivo in psicoterapia. L’alleanza terapeutica è comunque un incontro fra persone.
Quanto dura un percorso da uno psicologo-psicoterapeuta?
La durata dei percorsi di psicoterapia può variare molto e la diversa durata può dipendere da diversi fattori.
Distinguiamo fra di loro approcci brevi/focali, approcci a medio termine e approcci a lungo termine. L’idea di fondo è che non sia la persona ad adattarsi al tipo di psicoterapia ma che il tipo di psicoterapia possa essere scelta in funzione delle specifiche esigenze di una persona. Infatti esistono molti approcci tecnici differenti e le persone possono vivere problemi differenti.
Il nostro approccio, come Santagostino, mette i pazienti al centro e una delle finalità del primo colloquio è quella di offrire una consulenza ai pazienti rispetto alle tecniche che possono essere più adeguate alle loro necessità. Abbiamo scelto di non delegare questa scelta unicamente a un sintetico questionario online e abbiamo scelto di fare questo prevalentemente di persona. È solo in un incontro che si hanno tutte le informazioni per una valutazione clinica approfondita.
Un esempio di psicoterapia breve è un approccio breve, integrato e focale, nel quale terapeuta e paziente definiscono un focus di lavoro, ovvero un’ipotesi su come mai, secondo la/lo psicoterapeuta, si sia venuta a creare la condizione che ha prodotto il disagio attuale.
La prima fase di lavoro, che si chiama consultazione, è dedicata alla raccolta delle informazioni importanti, spesso anche tramite test psicodiagnostici. L’elaborazione del focus vuole aiutare la persona a superare i blocchi che si sono sviluppati. E favorisce la ripresa di un percorso di crescita personale, una volta risolta la problematica dietro le quinte, superando i blocchi, le difficoltà e i sintomi che la persona lamenta.
Psicoterapie a medio e lungo termine
Un intervento di psicoterapia cognitivo-costruttivista sul DOC (disturbo ossessivo-compulsivo) è un esempio di una psicoterapia a medio termine.
Un approccio particolarmente efficace è quello sviluppato da Francesco Mancini che non si limita a lavorare sui sintomi. Vuole infatti comprendere come ossessioni e compulsioni spesso rappresentino dei tentativi di soluzione disfunzionali di fronte a dei problemi che la persona sta vivendo, che fanno avvertire un senso di profonda minaccia alla propria identità e ai propri obiettivi personali.
Un intervento di psicoterapia a lungo termine comprende, ad esempio, tutti gli interventi che si dedicano a lavorare su tratti disfunzionali di personalità. È il caso della Transference-Focused Psychotherapy, ovvero un approccio sperimentalmente efficace nel trattamento del disturbo borderline di personalità.
Favorisce un miglioramento significativo nel senso di continuità e di chiarezza dell’identità personale, nel funzionamento interpersonale e una riduzione dei comportamenti autolesivi e suicidari. Questi sono i principali target di intervento per una psicoterapia che vuole lavorare con persone con disturbi di personalità. La TFP è un approccio che può durare da uno a tre anni e che può prevedere una o due sedute alla settimana.


Cosa fa lo psicologo dopo la seduta?
Il mestiere dello psicoterapeuta non si esaurisce nelle esperienze condivise con i pazienti in studio. Uno psicoterapeuta, quando non è in seduta, lavora. Sia per rendere più efficace il proprio contatto con uno specifico paziente che per rendere più efficace l’intera propria attività clinica.
Nei primi colloqui di consultazione la/lo psicoterapeuta, fuori dalla seduta, fa delle ipotesi sulla relazione fra il disagio che il paziente manifesta e gli aspetti del suo funzionamento psicologico che possono influire sul problema. Questa sintesi clinica viene poi condivisa al paziente in seduta, tramite una restituzione e diventa la base per poter costruire un percorso di psicoterapia. La restituzione può focalizzarsi su aspetti diagnostici o mettere in luce dei meccanismi psicologici su cui poter lavorare.
Nel proseguimento della psicoterapia gli psicoterapeuti, che durante gli incontri possono prendere o meno appunti, dopo le sedute dedicano un tempo a riscriverli. Così da identificare gli aspetti più preziosi dello scambio appena avvenuto con il paziente.
Se paziente e terapeuta hanno deciso di videoregistrare gli incontri la/lo psicoterapeuta ha l’opportunità di rivedere la seduta. Così da provare a coglierne dei passaggi che, in presa diretta, potevano essere sfuggiti. Tutto questo materiale può essere condiviso in incontri di supervisione, fatti con terapeuti particolarmente esperti.
La partecipazione ad attività di supervisione è uno dei modi più efficaci per migliorare la qualità del lavoro dello psicoterapeuta. Ma non è l’unico: gli psicoterapeuti possono continuare la loro formazione leggendo articoli scientifici, libri o riviste cliniche. O partecipando a corsi di formazione o convegni specialistici.
Una parte del tempo viene invece dedicato a dialogare. Con il consenso dei pazienti, con medici di base, psichiatri o altre unità operative coinvolte nella cura del paziente.
(10 Giugno 2025)