Dismorfofobia e realtà virtuale: una nuova frontiera nel trattamento della percezione corporea

La realtà virtuale apre nuove prospettive nel trattamento della dismorfofobia, integrandosi alla psicoterapia per lavorare sulla percezione corporea attraverso esperienze immersive come il body swapping. Restano però necessarie ulteriori validazioni

Dismorfofobia e realtà virtuale: una nuova frontiera nel trattamento della percezione corporea

di Maria Cristina Nappa, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Cos’è la dismorfofobia e perché è importante intervenire

Il disturbo di dismorfismo corporeo (DDC), o dismorfofobia, è una condizione psicologica caratterizzata da una preoccupazione eccessiva e persistente per difetti fisici percepiti, che sono spesso inesistenti o di entità minima agli occhi degli altri.

Le persone affette da DDC trascorrono molte ore al giorno focalizzandosi su tratti fisici specifici, come il viso (naso, occhi, denti, pelle, capelli) o altre parti del corpo. Questo disturbo può avere un impatto devastante sulla qualità della vita, causando disagio significativo e compromettendo il funzionamento quotidiano, sia a livello sociale che lavorativo. In alcuni casi, il DDC è associato  a comportamenti compulsivi, come il controllarsi allo specchio o il tentativo di modificare il difetto percepito.

Nonostante la sua alta prevalenza, che raggiunge circa il 2% della popolazione generale, il DDC è spesso sottodiagnosticato. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e i trattamenti medici sono considerati i metodi più efficaci, mentre i trattamenti estetici e dermatologici tendono a non essere utili e possono addirittura peggiorare la condizione.

Il disturbo, quindi, rappresenta una delle problematiche psicologiche più complesse da affrontare, richiedendo una diagnosi tempestiva e una gestione terapeutica mirata.

La realtà virtuale nella psicoterapia: un’innovazione in crescita

Negli ultimi anni, la realtà virtuale (VR) è emersa come uno strumento promettente per l’innovazione nel campo della salute mentale. Un tempo relegata ai videogiochi e all’intrattenimento, oggi la VR sta conquistando un ruolo rilevante anche nella psicoterapia, offrendo nuove possibilità di intervento su disturbi complessi.

Grazie al perfezionamento delle tecnologie e alla riduzione dei costi, la VR è oggi più accessibile sia per i professionisti che per i pazienti. I visori di nuova generazione permettono un’immersione completa senza particolari effetti collaterali, come la nausea che caratterizzava i primi modelli. La possibilità di creare ambienti tridimensionali realistici, controllati e interattivi rappresenta una risorsa innovativa nel trattamento di disturbi psicologici come fobie specifiche, disturbo d’ansia sociale, agorafobia e disturbo post-traumatico da stress (PTSD).

In questi casi, la VR si integra perfettamente con le tecniche di esposizione graduale, consentendo al paziente di confrontarsi con situazioni ansiogene in uno spazio protetto e adattabile.

I principali vantaggi della VR in psicoterapia includono:

  • il controllo completo degli stimoli da parte del terapeuta
  • la sicurezza del contesto
  • la possibilità di personalizzazione
  • la ripetibilità delle sessioni e il profondo coinvolgimento emotivo, elementi che possono migliorare l’aderenza e l’efficacia del trattamento.

Tuttavia, esistono ancora delle barriere legate ai costi iniziali della tecnologia, la necessità di formazione specifica per i professionisti e possibili effetti collaterali come la cybersickness.

Come la realtà virtuale può aiutare nel trattamento della dismorfofobia

Nel caso della dismorfofobia, la VR sta aprendo strade particolarmente innovative. Una delle applicazioni più promettenti della realtà virtuale nel trattamento della dismorfofobia è rappresentata dal cosiddetto body swapping, o “scambio di corpo”,
comporta l’illusione di trovarsi all’interno di un corpo diverso dal proprio.

Questa esperienza, resa possibile grazie all’uso di visori VR e stimolazioni multisensoriali, consente al paziente di percepire un corpo virtuale come se fosse il proprio. All’interno di un setting terapeutico, il body swapping può aiutare a modificare la percezione distorta della propria immagine corporea, promuovendo una visione più realistica e
accettante di sé.

Simulazioni di questo tipo sono state utilizzate con successo anche nei disturbi alimentari, contribuendo a ridurre l’insoddisfazione corporea e facilitando un cambiamento nei processi cognitivi ed emotivi legati al corpo.

Nello specifico, queste esperienze immersive permettono al paziente di confrontarsi con un avatar che può rappresentare il corpo reale o ideale, favorendo così una ristrutturazione cognitiva dell’immagine corporea. Studi recenti suggeriscono che questa illusione di scambio corporeo possa non solo monitorare, ma anche modificare l’integrazione multisensoriale
legata alla percezione del proprio corpo, contribuendo al cambiamento terapeutico.

Vantaggi e criticità dell’uso della realtà virtuale nel trattamento della dismorfofobia

L’utilizzo della realtà virtuale nel trattamento del disturbo da dismorfismo corporeo apre nuove prospettive terapeutiche, ma porta con sé anche alcune criticità che è importante considerare.

Tra i punti di forza, vi è la possibilità di lavorare sulla percezione corporea in modo interattivo e immersivo. Grazie alla VR, il paziente può sperimentare ambienti simulati che riproducono situazioni di vita reale, come lo specchiarsi o l’esposizione sociale, in un contesto controllato e terapeutico. Questo consente un’esposizione graduata a stimoli ansiogeni, utile per ridurre l’evitamento e intervenire sui pensieri distorti.

Inoltre, la possibilità di personalizzare l’esperienza virtuale in base alle specificità del paziente, favorendo un approccio più su misura. D’altro canto, l’efficacia della realtà virtuale per il trattamento della dismorfofobia necessita di ulteriori conferme scientifiche: molte delle ricerche esistenti si basano su campioni esigui e protocolli sperimentali ancora in fase di validazione.

Vi sono anche aspetti etici e pratici da considerare, come il rischio di un’eccessiva focalizzazione sull’aspetto esteriore o l’induzione di disagio se l’esperienza virtuale non è adeguatamente gestita. Inoltre, l’adozione della VR richiede risorse economiche e competenze tecnologiche che non sempre sono accessibili nei contesti clinici tradizionali.

Conclusioni e prospettive future

La realtà virtuale non rappresenta una sostituzione della psicoterapia tradizionale, ma un’integrazione utile, che va gestita in modo consapevole e competente dal professionista.

Le prospettive future prevedono una maggiore diffusione grazie alla riduzione dei costi, l’integrazione con l’intelligenza artificiale per creare ambienti terapeutici adattivi, e un possibile utilizzo domiciliare supervisionato.

L’evoluzione della VR in ambito psicologico potrebbe portare ad una maggiore accessibilità e personalizzazione delle cure, rendendo la terapia più coinvolgente e meno stigmatizzante. In quest’ottica, sarà fondamentale promuovere la formazione di psicologi e psicoterapeuti nell’utilizzo di questi strumenti, affinché possano sfruttarne appieno le potenzialità.